Blog

28.05.2014 18:28

Virtuoso del sitar ed esponente più conosciuto nel mondo della musica classica tradizionale indiana, Ravi Shankar assunse questo ruolo preminentemente grazie alla sbornia per la musica indiana presa negli anni '60 e '70 del secolo scorso da alcuni fra gli esponenti più in vista della musica rock del periodo, Beatles su tutti. Lo celebriamo qui scrivendo di due dischi poco conosciuti ma bellissimi, testimonianza di come l'apertura musicale sia prerogativa essenziale di tutti i grandi musicisti. “East greets East”, come suggerisce il titolo, è la testimonianza dell'incontro musicale fra la tradizione classica indiana, rappresentata da Shankar e da un musicista alle tablas, e quella giapponese, con due strumentisti rispettivamente a koto e shakuhashi. Esempio di misura e lirismo, risulta insuperabile non solo quando i quattro musicisti dialogano, ma anche nei pezzi a gruppo ridotto, come nel bellissimo brano iniziale per koto solo. Il secondo disco, “Inside the Kremlin”, vede invece Shankar alla direzione di un vasto ensemble composto da musicisti indiani e russi, fra cui un coro tradizionale. A dispetto del numero dei musicisti (quasi 200!), la musica risulta incredibilmente misurata e baciata da melodie e atmosfere assolutamente accattivanti (su tutto una “Shanti Mantra” da brividi...). Il fatto che entrambi i dischi risultino fuori catalogo è un'ulteriore testimonianza (ma ce n'era bisogno?) della miopia dei discografici attuali. Vale la pena comunque cercare di procurarseli, sono una testimonianza di come Shankar dovrebbe essere ricordato non solo come un massimo esponente della musica indiana, ma come un grande Musicista della nostra epoca, punto.

28.05.2014 18:06

L’indimenticato Nusrat è stato probabilmente il più grande cantante di musica qawaali, la musica religiosa pakistana, il cui ascolto stupisce ed esalta ancora adesso per la straordinaria capacità di coniugare potenza ed espressività della voce in crescendo di intensità ai limiti della trance. Per tanto tempo idolo del pubblico asiatico, Nusrat ha saputo diffondere la propria musica anche al di fuori di questo bacino tradizionale, contaminandosi intelligentemente con musicisti e sapori propri di altre latitudini. Il disco che qui recensiamo, uscito per la prestigiosa etichetta di Peter Gabriel, è un esempio in tal senso, con la voce del cantante pakistano supportata da un apporto strumentistico molto vario, in cui le classiche percussioni indo-asiatiche dialogano con flauti cinesi, djembè africani, strumenti brasiliani, fino alla chitarra sperimentale dell’inglese Michael Brook (titolare con Nusrat di un altrettanto consigliabile disco uscito qualche anno dopo). Il remix finale del pezzo che dà il titolo al lavoro da parte dei Massive Attack diffonde il credo anche fra le (allora) giovani generazioni patite di elettronica e trip-hop.

28.05.2014 18:05

Sam Cooke è stato, assieme a Otis Redding, il cantante soul più grande di sempre, e questo si sa. Meno conosciuto è, al contrario, questo disco fantastico, forse perché non contiene alcuno dei suoi successi più celebrati. Il suono, senza gli arrangiamenti orchestrali che appesantiscono e illanguidiscono altre sue produzioni, più che mai esalta la calda voce del soul singer, in pezzi r’n’b di un livello medio altissimo, fra ballate e tracce più ritmate. Peccato che il disco periodicamente (e vergognosamente) esca dal catalogo della casa discografica e quindi a periodi alterni sia più o meno facile da reperire. Vale comunque la pena sforzarsi.

28.05.2014 18:02

La prematura scomparsa del frontman e cantante Mark Sandman ha bruscamente interrotto nel 1999 la discografia di un gruppo fra i più interessanti fra quelli emersi negli anni ‘90. “Cure for Pain” fu il loro secondo disco ed espresse con massima chiarezza le caratteristiche che resero unico questo trio di musicisti abbastanza atipico per le scene rock ai tempi del grunge: niente chitarre, un cantante che suona un basso a 3 corde senza capotasti, un sax distorto e amplificato e una batteria raffinata a impreziosire un sound lievemente malsano, imparentato con il jazz più fumoso ma anche con un rock malato e alternativo. Fra le bands più innovative nate a fine secolo, i Morphine restano un gruppo dalla personalità spiccata, assolutamente da conoscere.

28.05.2014 17:58

Interprete, e autrice, straordinaria, Nina Simone ha avuto la rara capacità di rendere estremamente personale tutto il materiale che ha interpretato, nonché di creare un genere tutto suo, difficilmente incasellabile in definizioni preconfezionate. Ne sono testimonianza tutti i suoi dischi, ma soprattutto quelli incisi per la Philips fra il 1964 e il 1966, a parere di chi scrive i suoi migliori. Questo è realmente fantastico, Nina sembra cantare con l’anima e il modo in cui nobilita la già bella “Il faut savoir” di Aznavour (qui tradotta in “You’ve got to learn”) ha dell’incredibile e potrebbe spiegare da sola la grandezza dell’artista afroamericana. Mai nessun’altro ne eguaglierà l’intensità.

28.05.2014 17:48

Lode a Jimmy Sommerville! Non sarebbero necessarie tante parole per spiegarne i motivi, ma basterebbe l’ascolto dei due dischi di cui scriviamo. Dopo l’exploit dell’esordio con i Bronski Beat, Sommerville lascia inopinatamente il carro dei vincitori e si imbarca in un nuovo progetto (The Communards), anche questo significativamente destinato a lasciare il segno sia commercialmente che artisticamente. La musica dei due dischi, fatalmente gemelli, gode del caldo falsetto di Sommerville e di un groove elettro dance che non lascia scampo e che aggiorna agli anni ’80 la lezione della discomusic migliore del decennio precedente. Orgoglio gay e difesa dei diritti sociali, in piena era tatcheriana, elevano poi i due lavori nell’olimpo degli imprescindibili.

28.05.2014 17:27

Oggi abbiamo inaugurato il nostro nuovo blog. Continuate a frequentarlo e vi terremo aggiornati. Potrete leggere i nuovi post del blog tramite il feed RSS.

Contatti